La sindrome da deficit dell’attenzione (ADHD).
- Sergio Sabatini
- 21 nov 2015
- Tempo di lettura: 2 min

Aiuto, mio figlio non sta attento a scuola , non riesce a controllarsi è sempre in movimento, non so come fare … Quante volte i clinici sentono rivolgersi questa domanda da genitori resi ansiosi e fortemente preoccupati dal comportamento del figlio non controllabile. Spesso le frequenti richieste da parte degli insegnanti nei confronti della famiglia per effettuare un intervento sinergico volto a modificare il comportamento dell’allievo non raggiungono gli obiettivi sperati. I genitori si sentono impotenti e frustrati di fronte ad un atteggiamento difficile da comprendere ed accettare che sembra sfuggire ai classici rimedi educativi premio-punizione e che non trova una soluzione neanche nella farmacoterapia. Di cosa stiamo parlando? Della sindrome da iperattività/deficit di attenzione (ADHD). Si tratta di un disturbo, già descritto nella prima metà del XIX secolo, ma inserito tra i disturbi della salute solo agli inizi del XX secolo.
Questo disordine dello sviluppo presenta una componente neuropsicologica e si caratterizza per iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi, con un esordio piuttosto precoce ovvero prima dei sette anni. Nel DSM IV (il manuale diagnostico per i disturbi mentali) l’ADHD è descritto come una “situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo”. I sintomi specifici devono essere presenti per almeno 6 mesi e possono essere accompagnati da ansietà e depressione,disordini comportamentali, difficoltà nell'apprendimento, sviluppo di tic nervosi.
Le cause vanno ricercate in un complesso di fattori di carattere neurofisiologico, nella familiarità con il disturbo e nei condizionamenti ambientali (ad esempio la prolungata permanenza di fronte alla TV fino all’età di sei anni). Le terapie seguono la via psicoterapica e/o quella farmacologica. In particolare l’intervento di ristrutturazione del comportamento mediante l’approccio cognitivo-comportamentale può svolgere un importante supporto pedagogico. Anche gli approcci sistemico-relazionale e psicodinamico possono contribuire a comprendere gli aspetti affettivi e relazionali connessi con il disturbo e avviare percorsi di supporto alla persona e ai suoi familiari. Infatti è importante non tralasciare l’aiuto che va dato a tutto il nucleo familiare nel fornire risposte adeguate ai comportamenti del bambino. Un obiettivo della terapia non secondario, è quello di far abbassare la soglia di ansia indotta nei familiari, che spesso comporta un’amplificazione dei comportamenti disturbanti, mediante un attento ascolto delle modalità di risposta nei confronti dei comportamenti del figlio e delle emozioni che li accompagnano.
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